Pillole di metodologia della ricerca – Parliamo di “blinding”: cosa si intende per cecità di uno studio scientifico?
La cecità (blinding) è lo strumento metodologico che impedisce a una o più categorie di soggetti coinvolti in un trial clinico di conoscere il trattamento assegnato ai due (o più) gruppi di partecipanti.
Con il termine “blinding” si intende infatti “cecità” rispetto all’appartenenza al gruppo in cui si è stati randomizzati, ovvero assegnati in modo casuale in due gruppi. Il primo è sperimentale e riceve il trattamento oggetto dello studio mentre l’altro è di controllo e riceve il trattamento di controllo o un placebo. La cecità dello studio è imprescindibile per ottenere un esito oggettivo e riproducibile: conoscere le informazioni che potrebbero portare a effetti di aspettativa consci oppure inconsci invaliderebbe i risultati.
Studio in cieco: cosa significa?
Quando almeno uno dei soggetti coinvolti nello studio non sa quale sia il gruppo studio e il gruppo controllo si parla di studio in cieco. La cecità del paziente è la componente che ha maggiore garanzia di assenza di distorsioni sistematiche dei risultati.
Si parla di studio in doppio cieco in quanto ad essere “cieco”, cioè ignaro, è sia l’operatore sanitario che somministra il trattamento, sia il paziente.
Ma può esserci anche il cieco triplo, quadruplo e così via. Tutti i soggetti coinvolti nello studio potrebbero non sapere il trattamento assegnato.
Più è alto il grado di cecità più è alta la robustezza e l’affidabilità dei risultati. Tant’è che le check list di valutazione della qualità metodologica degli studi scientifici valutano soprattutto il grado di cecità.
I soggetti in cieco durante un trial: vediamo chi possono essere
Considerato che la terminologia classica (singolo, doppio, triplo cieco) è poco riproducibile e ambigua, per limitare al massimo il rischio di distorsione dei risultati non solo i pazienti dovrebbero essere in cieco rispetto al trattamento ricevuto, ma anche chi randomizza, cioè chi alloca i pazienti nei rispettivi gruppi, chi prepara la terapia, e chi comunica al paziente a quale gruppo è stato assegnato. Non da meno, per non compromettere il buon esito dello studio, è preferibile che anche chi analizza i risultati sia in cieco, perché potrebbe inconsapevolmente creare dei bias nelle analisi. In definitiva, tutti i soggetti coinvolti nella pianificazione e nelle analisi dello studio dovrebbero essere ignari rispetto all’appartenenza.
Quindi, chi potrebbe essere in cieco durante un trial?
- Soggetti randomizzati che partecipano allo studio.
- Personale che accede alla lista di randomizzazione.
- Personale sanitario che assiste i partecipanti e/o somministra il trattamento.
- Professionisti che raccolgono i dati (segni, sintomi, questionari, etc.).
- Statistici che analizzano i dati.
L’importanza della cecità rispetto all’outcome
In ricerca, si definisce “outcome” la misurazione di un parametro. Non tutti gli outcome sono facilmente misurabili: gli outcome soggettivi, come la riferita percezione del dolore, non possono essere misurati con aiuti strumentali e sono quindi più soggetti a bias. Per questa tipologia di outcome, la cecità deve essere garantita ancor più rigidamente affinché i dati siano affidabili. Più è soggettivo l’outcome, rispetto al parametro, più la cecità è importante. La cecità a più alti gradi negli studi quantitativi è garanzia dell’assenza di distorsioni sistematiche a livello di risultato.
I potenziali bias durante uno studio randomizzato controllato
Nel linguaggio scientifico, il termine “bias” indica una distorsione sistematica, ovvero un errore che si ripete sistematicamente per tutta la durata dello studio al punto da creare una distorsione per eccesso o per difetto sui risultati. Si definisce ad esempio, detection bias, la distorsione sistematica nella valutazione degli outcome quando il valutatore non è in cieco, performance bias l’assenza di cecità dei pazienti o degli operatori verso il trattamento somministrato, selection bias l’assenza di cecità nella randomizzazione e nell’assegnazione dei gruppi, oppure il concomitant treatment bias, ovvero la somministrazione di altre terapie che riducono la probabilità dell’esito nel gruppo dei trattati e/o la aumentano in quello dei controlli.
Non sempre, però, il blinding è possibile. Mentre negli studi che confrontano una terapia farmacologica con il placebo è sempre possibile garantire lo studio in cieco, in altri, come quelli in cui si confrontano due terapie farmacologiche, potrebbe essere necessario sviluppare delle strategie differenti. Il blinding è una strategia efficace, ma al 100% solo in linea teorica. Nella pratica, infatti, sono tanti i fattori che potrebbero compromettere l’esito dello studio. I fattori che contribuiscono a smascherare il trattamento sono molteplici, come ad esempio la percezione dei pazienti con outcome favorevoli appartenenti al gruppo di studio. In conclusione, però, potremmo affermare che quando si conduce uno studio randomizzato controllato, Randomized controlled trial – RCT, cioè uno studio sperimentale randomizzato e controllato, il blinding è imprescindibile per il buon esito perché più è alto il grado di cecità più è alta l’affidabilità dei risultati.